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Music Director Maggio 2025: Coma_Cose

I Coma_Cose sono i Music Director di Maggio 

Abbiamo intervistato i Coma_Cose in occasione del loro tour estivo che partirà a Giugno e si concluderà con due date celebrative dei loro dieci anni di carriera il 27 Ottobre all’Unipol Forum di Milano e il 30 Ottobre al Palazzo dello Sport di Roma. I Coma_Cose sono i Music Director di Maggio e hanno curato una playlist in esclusiva per i lettori di Harper’s Bazaar

Dieci anni di carriera sono un traguardo che ti da la possibilità di osservare il tragitto, il viaggio e l’evoluzione del percorso. Con Vita Fusa, i Coma_Cose disegnano un album che ripercorre i loro tratti distintivi, li colora di nuove sfumature e presenta la naturale evoluzione di un duo che ha sempre messo al centro un forte punto di vista umano, ironico e peculiare. Lo scorso undici maggio i Coma_Cose annunciano anche una preview del loro brano estivo a scaldare l'attesa per il tour estivo.

Il vostro è un album celebrativo dei vostri dieci anni di carriera. Se vi guardate indietro cos’è cambiato e cos’è rimasto esattamente lo stesso?

Francesca: Entrambe le cose. Siamo cambiati noi, è cambiata Milano, il mondo, il modo di interagire e socializzare. Gli ultimi cinque anni mi sembra che non siano mai successi, il post covid è volato. Noi abbiamo fatto tantissime cose, siamo partiti da album molto sperimentali, abbiamo fatto tantissimi tour e concerti e stiamo continuando a navigare nella contemporaneità, vedendo dove ci porta. Ci siamo fatti questo regalo, un disco molto personale, per ricordarci da dove siamo partiti. Volevamo mettere un po’ un punto nella nostra storia, anche per riflettere su chi eravamo e godere anche del tragitto. Dieci anni insieme non sono pochi, non abbiamo mai avuto una relazione così lunga, stiamo cercando anche di dare valore a ciò che ci succede e questo disco è stato il mezzo con cui farlo.

Che tour estivo state preparando?

Fausto: Il tour è in lavorazione, abbiamo iniziato la prima stesura con i musicisti, come arrangiare i brani live e così via. Vorremmo fare uno show con dei contenuti scenografici un po’ più evoluti rispetto ai precedenti. Dopo tanti anni il nostro appeal live si conosce, ma ci piacerebbe dedicarci maggiormente alla parte visiva, con delle soluzioni anche diverse rispetto alla nostra solita modalità, riscoprendo anche qualche brano che magari non ha avuto la fortuna di avere la visibilità che speravamo. Quello che ci siamo ripromessi rispetto agli altri tour è di ritagliarci qualche pausa per interagire maggiormente con il pubblico, parlare un po’ di più, confrontarsi e inventarsi dei modi per farlo.

E i palazzetti?

Francesca: Abbiamo tante idee, dobbiamo capire che cosa riusciremo a realizzare. Sicuramente sarà un racconto di questi dieci anni, condiviso con tutte le persone che ci ascoltano e ci seguono dall’inizio. La musica che facciamo è un diario di bordo della nostra vita e dentro si trova di tutto, anche i cambiamenti di genere, di stile, di posti dove abbiamo vissuto e i nostri ascolti del momento. Faremo una grande festa, ci sarà tanto materiale, cose vecchie e cose inedite, facendo una sorta di riassunto.

Fausto: l’idea è quella di punteggiare il nostro percorso, non per forza in maniera didascalica, ma procedere attraverso delle stanze in cui accompagniamo il pubblico. Anche le scenografie racconteranno questi passaggi temporali e speriamo di invitare qualche ospite. È come se il tour estivo raccolga il disco e lo colori con i nostri cavalli di battaglia, mentre i palazzetti li immaginiamo più svincolati verso il racconto dei nostri dieci anni.

Nelle vostre canzoni c’è da sempre un grande rapporto con Milano. Com’è cambiata la città e il vostro modo di viverla?

Francesca: Oggi siamo tornati un po’ alle nostre origini e ci stiamo allontanando sempre di più dal centro. Siamo partiti dai navigli, per poi andare sempre più a sud, adesso siamo alle porte dei campi di Milano sud. Quando andiamo in centro mi stupisco, la viviamo quasi come dei turisti. Sicuramente contribuisce molto il fatto che spesso siamo via per lavoro. Se prima stavamo sempre in giro e a contatto costante con il centro della città, adesso è molto diverso. Sicuramente influisce anche l’età in tutto questo, usciamo sicuramente meno di qualche anno fa. Sento come se avessimo anche un richiamo verso la natura, verso un qualcosa di più atavico.

Fausto: adesso che abbiamo preso casa e abbiamo la residenza qui, ci sentiamo dei veri abitanti di Milano. Ricordo che i nostri primi successi che parlavano molto della città, ne parlavano attraverso gli occhi di persone che arrivavano dalla provincia e ne subivano la fascinazione. Poi ti abitui e anche il circostante cambia. I Coma_Cose sono nati negli anni di EXPO, che era già un momento di cambiamento urbano, ma adesso con questi progetti titanici, come Gae Aulenti, la darsena e così via, la città ha cambiato faccia. Oggi c’è una Milano sicuramente diversa, ogni generazione vive la sua e trova anche le sue situazione all’interno.

La vostra immagine è naturalmente evoluta molto in questi anni. Che valore ha per voi l’immagine oggi all’interno del vostro processo creativo?

Francesca: L’immagine penso sia un’evoluzione naturale di qualcosa che cambia in te e che magari vuoi esprimere in quel momento. Né io né Fausto siamo stati mai troppo legati a una determinata tendenza o estetica, è sempre stato intrinseco in noi mischiarci un po’ e non appartenere per forza a una determinata fazione stilistica. Abbiamo sempre surfato tra vari gruppi e questa cosa ce la portiamo dietro ancora oggi. Siamo così un po’ in tutto, anche negli ascolti musicali che poi influiscono molto sull’immagine. Ci piacciono molto i vestiti, il design, le forme, i materiali, quindi ci piace sperimentare. A Sanremo abbiamo fatto questo lavoro con Valentino che è stato incredibile, abbiamo indossato delle creazioni che erano quasi dei costumi, con un design stupendo di Alessandro Michele e ci è piaciuto molto sperimentare questa veste di spettacolo, che è una delle belle cose che ti permette di fare il Festival.

Fausto: I capisaldi some sempre gli stessi onestamente, bomber, sneakers e jeans. L’evoluzione e il cambiamento dell’immagine fa ovviamente parte del percorso di vita di ciascuno, dell’emancipazione personale. Tutti noi siamo insicuri e alle volta ci limitiamo, perché abbiamo paura di risultare fuori luogo, in realtà poi cresci, prendi sicurezza e te ne freghi. Anche perché non sarà un abito a farti sentire fuori luogo, sono degli involucri, delle facciate. Ci piace da sempre mischiare le carte in tavola e ci piacerà sempre, così come la nostra ironia di fondo, che per noi è il faro della notte della fruizione delle cose.

Le relazioni sono un tema ricorrente nelle vostre canzoni. Oggi, forse sono sinonimo più che mai di impegno, proprio per la libertà di visione nel come viverle. Cosa significa impegno per voi oggi?

Francesca: Oggi stiamo vivendo tutti un momento storico strano, siamo un po’ i tester della contemporaneità. Siamo subissati di consigli, messaggi che ci parlano di perfezione, ci suggeriscono soluzioni per qualsiasi problema, facili e fruibili costantemente. Queste soluzioni le prendiamo per vere perché le vediamo fatte da persone comuni, non dalla televisione che portava con se un’architettura dello spettacolo, molto più finta. Penso ci sia molta confusione e percepisco tanta solitudine. Poi probabilmente sarà stato sempre così, perché l’essere umano è una persona singola e quindi sola. Noi facendo musica, cerchiamo sempre di mettere al centro l’umanità e i sentimenti in maniera sincera ed è l’unica cosa che possiamo fare, cercando di ragionare con il nostro cervello e i nostri sentimenti.

In un certo senso i gatti si ricollegano a questo discorso sull’impegno nelle relazioni oggi. I gatti sanno rispettare gli spazi, perché si prendono i loro chiaramente, ma al tempo stesso, sanno esserci con pazienza assertiva e tante volte ti sbattono la verità in faccia, nuda e cruda. I due gatti a Milano di cui parlate, rispecchiano tutto questo o c’è altro?

Fausto: I due gatti di cui parliamo sono i nostri, così come l’ambiente descritto nella canzone che è assolutamente casalingo. Noi viviamo il dramma dell’abbandono nel partire, nonostante ci sia una persona di fiducia che li accudisce. Riflettiamo sul fatto che costringiamo un animale a vivere in un appartamento ed è un grande conflitto. La canzone descrive proprio questo. Usa la metafora del gatto per descrivere noi stessi. È una canzone che parla della sindrome dell’abbandono. Quando finisce un’amicizia, un affetto, un amore e tutto sommato ti chiedi il perché e rimani lì anche sorpreso, magari perché accecato dal sentimento che non ti ha fatto vedere i segnali o le cause di quel distacco; dall’altra la canzone descrive anche il senso dell’essere un po’ intrappolati in questa città, di non capirla, di guardarla dall’alto di una finestra, vedere della gente che si muove, che corre, vedere il tram che passa, e chiedersi dove vada tutta questa gente. Penso che un gatto faccia queste riflessioni e si chieda perché anche chi vede fuori indaffarato e in movimento, non se ne stia in un angolino a sonnecchiare come lui. Ci piaceva questa visione del gatto per descrivere l’alienazione che può farti vivere la città . I due gatti a Milano sono i nostri, così come tutti i gatti di Milano che vivono negli appartamenti, ma infondo siamo anche noi stessi.

“Honolulu” parla di dipendenze, un argomento purtroppo sempre attuale e troppo soffocato, quasi a volerlo nascondere. Io credo che esista un futuro, come dite voi e credo anche che non bisognerebbe chiudere gli occhi. Che futuro esiste a Honolulu?

Fausto: Quella canzone non parla di una persona sola, parla di vita, di storie, di amicizie e di persone che sono capitate nella nostra vita e penso capitino nella vita di tutti. Avere un caro, un amico, un parente che cade in qualche dipendenza e viene risucchiato e portato lontano nel mondo è una storia purtroppo molto comune. Questa canzone porta questo problema a un piano molto umano, molto piccolo, anche molto scanzonato. A volte l’over strutturazione del problema della tossico dipendenza lo allontana molto dalla dimensione umana, lo rende qualcosa da additare, difficile da comprendere. Questa canzone non analizza il motivo per cui questa persona cade in una dipendenza, ma cerca di punteggiare con ironia una persona che in qualche modo si è risolta o forse si risolverà, che ci sta provando, che sta cercando di cambiare, di tracciare un nuovo percorso, di lasciarsi il passato alle spalle, nel bene e nel male. È una storia piccola, quotidiana e ci piaceva raccontare questo tema senza grandi morali, ma cercando di riportare la nostra esperienza. Quando ad esempio capita di incontrare un amico che sapevi aver avuto dei problemi e gli chiedi come stai e ti dice che ha cambiato vita, che magari è partito per una meta, ha traslocato, sta meglio. Quella cosa ti lascia felicità, serenità, speranza nel fatto che alcune di queste storie possano risolversi. È una fotografia di ottimismo e soprattutto di normalizzazione, non nel senso del normalizzare la dipendenza, ma del normalizzare l’aiuto a queste persone, come qualsiasi altro problema, dove a un certo punto subentra una malattia e dove serve un percorso di guarigione, che infondo è un percorso di umanità.

Avete curato la playlist di Bazaar come Music Director. Come la descrivereste?

Francesca: Abbiamo pensato ad un sottofondo perfetto per la primavera, siamo partiti da una canzone del nostro ultimo disco per poi immergerci in suggestioni sonore, perfette da ascoltare una domenica pomeriggio sdraiati su un prato.